Industria della Difesa

Pur inseriti dentro l’Unione europea, gli italiani potranno e dovranno tornare ad avere un dialogo e una partnership diretta con gli Usa e con gli altri Paesi citati sopra. Al di là delle imminenti partite dei progetti europei, l’associazione mira a individuare strategie di lungo termine su settori quali il business satellitare duale, l’aerospazio (con tanto di alleggerimento dei rapporti con la Francia), la marina e il più tradizionale settore dell’ala fissa. Tanto per fare alcuni esempi.

Al summit di Davos 2022 una giornata intera è stata polarizzata da Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione ha trattato due temi caldi. Quello dell’energia e quello delle armi e della Difesa unica Ue. Nel primo caso, la presidente ha escluso che si possa trovare un accordo sul divieto delle importazioni di petrolio russo. Qui interessa il secondo punto. La guerra in Ucraina è non solo la riaffermazione della Nato, ma per i vertici di Bruxelles l’opportunità inaspettata di realizzare il progetto della Ced, naufragato negli anni Cinquanta per via della Francia. 

Non a caso la Von der Leyen ha apertamente spiegato che: «La Nato è la più forte alleanza militare del mondo e lo sarà sempre. E l’Ue non sarà mai un’alleanza militare». Ma si è detta profondamente convinta che da europei «dobbiamo essere in grado di occuparci della nostra Difesa e di essere in grado di agire se necessario». Aggiungendo subito dopo che «come ex ministro della Difesa so molto bene quanto sia importante avere interoperabilità tra le forze armate» in modo tale che «non ci siano 17 tipologie differenti di carri armati o jet da combattimento» tra gli eserciti dei Paesi Ue, «ma uno o due, perché questo ci permette di fare economia di scala, lavorare assieme sulle componenti mancanti e anche di scambiarci il personale che è formato per pilotare quei mezzi», ha proseguito, concludendo: «Stiamo mettendo su una piattaforma nell’Unione europea per dirigere e garantire un approccio da appalto congiunto a questi enormi investimenti di cui avremo bisogno». 

Il messaggio tende a sovrapporre due piani diversi. L’eco delle munizioni inviate in Ucraina ha portato gli ascoltatori a pensare che i magazzini si stanno svuotando e che a breve dovranno essere riempiti. In realtà nessuno – Italia compresa – ha intaccato i magazzini delle unità operative. L’ambiguità è consustanziale all’avvio di nuovi progetti e nuove armi che non saranno operative prima del 2027, data della prossima scadenza del fondo europeo di Difesa. Il che in parole povere spiega come la piattaforma cui fa riferimento la Von der Leyen non serve ora ma servirà ad avviare un percorso più complesso in sinergia con gli investimenti nazionale e probabilmente tra il 2027 e il 2035 con lo sviluppo di ciò che oggi si chiama Card, Coordinated annual review on defence, e serve come strumento statistico. 

Domani potrà avere budget diretti da gestire e far fare all’Ue il salto dell’esercito comune. Se riprendiamo le parole dell’allora ministro alla Difesa Sergio Mattarella ai tempi della guerra in Kosovo e del sottosegretario agli Esteri, Umberto Ranieri, si capisce che la spinta per una Difesa comune già allora mirava alla creazione di una unità politica. Insomma, l’Unione attraverso un esercito unico. Le missioni in Albania e a Timor Est dovevano essere il test: andare all’estero senza l’aiuto della Nato. Ovviamente gli scontri in Kosovo non furono sufficienti a scardinare gli equilibri e così si è dovuto attendere l’invasione russa per cercare di avviare quel percorso di cittadinanza che l’unione monetaria in 20 anni non ha saputo creare.

Per chi scrive l’industria della Difesa è fondamentale per tenere alti gli stand tecnologici di un Paese e i livelli di occupazione di qualità. Ora che i meccanismi del riarmo sono partiti dobbiamo però interrogarci su quale sarà il ruolo di Roma. Se avverrà come per l’industria dello spazio, rischiamo di dover acquistare i progetti di armamento scelti da altre nazioni. I nostri colossi saranno player?. Nella missilistica di certo l’Ue userà schemi come il Twister dove il nostro Paese è ben rappresentato grazie a Mbda, ma per il carro comune o il caccia di sesta generazione che si farà? E per le fregate europee? In pochi mesi si possono decidere partite industriale che segneranno il business tricolore per il prossimo ventennio. I temi sono numerosi e riguarderanno l’elettronica della Difesa e lo sviluppo della tecnologia duale, a metà strada tra civile e militare. A maggio del 2022, a margine del Consiglio Ue, il premier italiano Mario Draghi affidava ai giornalisti un passaggio importantissimo sul principio di reciprocità. «Se uno compra armi dagli Usa è perché certe armi non si fanno in altre parti del mondo. La direzione di questi flussi è dettata da considerazioni tecnologiche, considerazioni strategiche, rapporti diplomatici, collocazione delle alleanze, ci sono tante considerazioni», ha detto Draghi. Ma «se un nostro fornitore impedisce alle esportazioni di un altro Paese europeo di entrare, beh allora l’Unione europea dovrebbe considerare di non importare da quel Paese». Per la prima volta – per giunta all’indomani dalla decisione Ue di avviare acquisti militari congiunti – qualcuno a Roma ha parlato a nuora perché suocera intenda. Né Fincantieri né Leonardo hanno problemi di reciprocità con gli Usa. Piazza Monte Grappa ha recentemente siglato un accordo per elicotteri alla Difesa Usa. Fincantieri fa fregate per la Marina e la Guardia costiera a stelle e strisce. C’è ci ha inteso il messaggio come un input per evitare che i francesi scavalchino il principio di reciprocità. Serve dunque un delicato principio tra Germania, Usa e Italia nei prossimi progetti condivisi. Il tutto con l’opportuna equidistanza verso lo storico partner di Roma, la Gran Bretagna.

Ecco il modello può funzionare solo se si definiscono le aree di competenza. Altrimenti è solo retorica. Per tornare sotto il cappello di una Nato ancora più americana dobbiamo comunque detenere la nostra tecnologia e i nostri rapporti di mediazione con il Magreb e il Medioriente. Saranno uno scudo. Per quando le cose andranno storte. D’altronde la storia insegna che quando cambiano le sfere di influenza si destabilizzano intere aree. Chi ci vive vicino soffre, ma può anche trarne vantaggio. È successo in Siria. E ad approfittarne è stato Recepp Erdogan che con l’ok Usa ha rispolverato il sogno dell’impero Mediterraneo. È successo in Libia e abbiamo visto quanto male s’è fatta l’Italia. Succederà probabilmente in Ucraina. Bene attrezzarsi.
In questo ambito sarà sempre più importante il ruolo del Copasir con l’intento di mediare tra sicurezza militare, duale, tecnologia solo apparentemente civile, ruolo della Cina e della Francia tramite il trattato del Quirinale.

Nel 2022 viene diffuso un lavoro imponente di oltre 120 pagine. Nella relazione del Copasir, il comitato per la sicurezza della Repubblica, si affronta il tema del rilancio del nostro Paese dal punto di vista internazionale. Non a caso è proprio nell’ottica di una maggiore centralità che il comitato, presieduto da Adolfo Urso, ha in qualche modo auspicato che in futuro l’Italia possa entrare nei Five eyes: l’alleanza in materia di intelligence che coinvolge Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti. Certo: il documento lascia intendere che una tale strada non sia semplice (sembrerebbe infatti sfumato un tentativo di allargamento di tale alleanza ad altri Paesi come la Germania, il Giappone, l’India e la Corea del Sud). «In ogni caso», chiosa la relazione, «ad avviso del comitato, si tratta di una questione che va attentamente monitorata per consentire all’Italia di svolgere un ruolo da protagonista». Leggendo tra le righe si comprende che lo stop al progetto lascerà più liberi i partner europei di avviare l’integrazione del comparto di intelligence e della Difesa.

«Quanto al timore che una difesa europea rafforzata possa confliggere con l’azione della Nato», si legge nella relazione, «è necessario sottolineare che una Ue – capace in autonomia di prendere decisioni e di operare in aderenza ai propri valori, proteggendo i propri interessi e priorità – rafforzerà l’Alleanza stessa contribuendo alla sicurezza globale». «L’Italia», prosegue il documento, «può svolgere un ruolo di rilievo nel raggiungimento di questo obiettivo: rafforzare l’azione europea per rafforzare la Nato». A tal proposito, il Copasir suggerisce di muoversi su due binari: l’impegno presso le Nazioni Unite e il rilancio del partenariato bilaterale «per rafforzare le istituzioni libiche».
Un altro dossier analizzato è quello della crisi ucraina, su cui il comitato invita ad agire con concretezza, esortando l’Europa ad assumere un ruolo più deciso. «L’aggressività russa, sostenuta dalla Bielorussia, nei confronti dell’Ucraina e sul fianco orientale dell’Alleanza è certamente condannabile ma permane forte per l’Europa l’esigenza di mantenere aperti canali di dialogo diplomatico». In questo senso, il Copasir auspica che il vecchio continente possa svolgere un ruolo attivo «su temi essenziali quali il controllo degli armamenti convenzionali, la controproliferazione nucleare e tutte le attività che hanno a che fare con le minacce ibride».

Una sezione della relazione è inoltre dedicata alla Cina, definita un «avversario strategico»: in particolare, viene posto l’accento sull’attivismo di Pechino in varie aree del globo, dall’Africa all’Afghanistan. «L’obiettivo di una supremazia globale, in ambito tecnologico, economico e anche militare perseguito dalla potenza cinese con una proiezione di ampio respiro nel futuro sembra realizzabile nell’arco di qualche decennio», indica il documento. È d’altronde anche per far fronte alle turbolenze internazionali che il comitato è tornato a sottolineare la necessità della sicurezza energetica: quella sicurezza energetica che «rappresenta un tassello cruciale da presidiare all’interno di una complessiva strategia di difesa dell’interesse nazionale». In tale quadro, è interessante sottolineare come, in apertura della relazione, non manchi un appunto mosso al Parlamento. «Nonostante le precedenti relazioni annuali abbiano fornito analisi e valutazioni di indubbio rilievo, […] appare singolare e nel contempo preoccupante che in nessun caso vi sia stato un seguito effettivo di tali risultanze davanti alle Camere, tramite lo sviluppo di un dibattito da reputarsi essenziale e doveroso quando si verte sul bene cruciale della salus rei publicae». Una «bacchettata» si è registrata anche sul Trattato del Quirinale. «Il Copasir ritiene opportuno evidenziare che, mentre in vista della sottoscrizione del Memorandum sulla Via della seta, il Governo intese preventivamente coinvolgere l’Organo parlamentare in un confronto sui temi della sicurezza nazionale interessati, analogo preventivo coinvolgimento non si è verificato nel caso del Trattato con la Francia», si legge a pagina 21. Non solo: nel rapporto tra Roma e Parigi, il comitato sembra mettere in guardia dalle ambizioni d’oltralpe, invocando «un’adeguata tutela degli asset strategici in ambito finanziario e industriale italiani». La firma del Trattato è avvenuta all’indomani dalla nascita del nuovo governo tedesco targato Olaf Scholz. Letteralmente all’indomani, come dire che Berlino non avrà una linea preferenziale con la Bce e con la Commissione. Ma la firma del Trattato avviene anche due mesi prima dell’elezione del nuovo capo dello Stato italiano. Sarà importante monitorare tutti i passaggi di dialogo all’esterno del Parlamento e i tavoli condivisi tra Eliseo e Quirinale per verificare che accordi multilaterali non vengano scavalcati o si realizzino corridoi preferenziali senza una condivisione trasparente con tutti gli stakeholder.

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